3 maggio 2013

Quando meno te l'aspetti

Accadono cose. Accadono in un pomeriggio come tanti, quando non te l'aspetti.
Che la vita a volte ti travolge, tu sei in un turbine e non hai sempre tempo di pensare ma solo di andare. Ed é andando che ti accorgi di non essere felice, che la vita che hai costruito non é quella che volevi,che l'uomo che hai accanto non é come lo avevi immaginato. E inizi una lotta prima contro le cose, poi contro di te, poi contro di lui. Il vaso si rompe, i pezzi non si aggiustano, un passo dietro l'altro, rapida, ti ritrovi sola, libera. C'è ancora tanta strada e tante battaglie da fare, e ci provi a dare il meglio di te, ancora. E la paghi cara ma lotti perché ci sono i bambini da tenere al sicuro, perché i toni si smorzino, perché tutto sia civile e dignitoso, perché nulla di irrecuperabile venga detto o soprattutto fatto. Perché un giorno si possa ricostruire e recuperare, un modo nuovo ma civile e sereno per loro.
E lui é immutabile, non ha voluto tentare, non ha mai voluto cambiare, non ha mai chiesto una seconda possibilità, non. Mai.

La vita va avanti, con i suoi percorsi, le sorprese, momenti oscuri e momenti luminosi. Non si ha sempre la possibilità di mettere le cose in fila, dopo. Perché ti trovi a rifarlo da sola. Ipotizzi. Fai illazioni su quella parte che non é tua. Che non sai.
Ed è come se poi un pezzo mancasse, é una verità che accetti ma nel profondo ti chiedi se sia proprio quella la versione vera o se invece, chissà.

Arriva un pomeriggio, come tanti. Buoni rapporti che ti fanno crescere i bambini insieme, nonostante tutto. Prendersi cura di loro prima di tutto. Incontrare una psicologa e scoprire un po' il fianco per loro.
E qualcosa succede. Una breccia si apre. Quella rifiutata e sigillata con cura nella tempesta.
" sei la donna più importante della mia vita e mi dispiace ma io non ho voluto provarci. Si era aperto uno spiraglio e io ho colto l'occasione per scappare, non ne potevo più "

Parole nette, reali. Suoni. LA spiegazione. L'altra metà dei fatti. Il tassello mancante, così, per caso.
Che scuote la polvere.
Che hai difeso te stessa dal senso di colpa perché ci hai provato fino all'ultimo.
Che hai sostenuto le accuse di tuo figlio perché con un muro non puoi lottare.
Che hai avuto ragione.
E che ora che lo sai, ora si che é finita.

17 aprile 2013

IO VOGLIO RESTARE

Ci siamo arrivati. Anzi, ci siete arrivati. Ora. Al punto in cui "questo paese è impossibile, bisogna andarsene".
Benvenuti.
Io in questo mood ci navigo da anni. Da quando ho capito che la scienza e la ricerca sono il mio lavoro. Non è che solo mi piacciono, è che io faccio fatica ad immaginare di fare altro.
E questo qui non è un paese per la scienza. Fare ricerca di base nel settore medico poi, all'Università e senza santi in paradiso equivale al suicidio. Non voglio star qui a tediarvi con gli scenari a cui assisto quotidianamente, alcuni li ho descritti già, ma sappiate che è davvero difficile. Si tratta di RESISTERE, in primis. Di avere fortuna e poi ah si, forse di essere anche bravi.
fatto sta che lo spettro dell'emigrazione ti si attacca addosso fin dal secondo giorno di laboratorio, e non ti molla più.
Prima perchè DEVI fare un'esperienza all'estero, perchè DEVI vedere come è la realtà, DEVI misurarti con un vero laboratorio, con dei veri ritmi di lavoro, con la vera ricerca.
E già qui la vena polemica potrebbe iniziare ad impennarsi un tantino, perchè in questo continuo modo di denigrare tutto quello che abbiamo sotto il naso c'è un pò anche il male. Si fa parte del gioco, quello in cui li italiani sono scansafatiche, lavorano male, sono menefreghisti, non si dedicano etc etc.
Ecco, IO NO.
E non sono sola eh, UN SACCO DI GENTE NO.
la verità è anche che chi invece resta qui si fa il culo doppio, con la metà della metà delle possibilità, con la metà della metà della metà della metà dei soldi, dei riconoscimenti, del supporto, degli stimoli, degli imput.
Impari l'arte di arrangiarti, E sapete? la povertà aguzza l'ingegno, è vero, è sacrosanto.
Oggi il paese va a rotoli. Paradossalmente noi che facciamo questo lavoro siamo più preparati di voi, è da un pezzo che navighiamo nella cacca, nell'assenza di soldi, nel lavoro gratis, nella precarietà, nel downshifting.
Oggi partono tutti.
Ed è lecito perchè io lo capisco, e mi sono interrogata sull'ipotesi di partire anche io fino a poco tempo fa.
Perchè la pressione che subisco è a volte insostenibile. Perchè vivere in questo paese è enormemente difficile. Perchè i miei figli potrebbero apprendere uno stile di vita che a me non piace. Perchè io potrei non farcela, nonostante tutto. Perchè vuoi mettere? Il lavoro che ti piace, fatto bene. I soldi. Le scuole per i bambini. L'assenza di burocrazia. L'efficienza. poi puoi tornare un week end ogni tanto e fare il turista, e così l'Italia è molto meglio.
Poi però ho capito una cosa, che IO VOGLIO RESTARE.
Perchè non sarebbe una partenza, sarebbe un esilio.
Perchè lascerei cose a cui io do valore, ed è un valore che non è inferiore alla vivibilità o al benessere economico. E sono arrabbiata, all'idea di dover scegliere in cosa devo stare male, perchè il bene pieno non posso averlo, nonostante io non mi sia mai tirata indietro.
Ma ho capito che non è una lotta gli uni contro gli latri. Che non devi andare via per forza e poi guardare l'Italia dall'alto in basso perchè forse cerchi così disperatamente il tuo alibi per aver fatto la scelta giusta, perchè poi nel tuo cuore ti manca la tua vita in Italia. Che non devi restare per forza. Che non è il lavoro una scelta più nobile della famiglia. Che non è lo stipendio una scelta più valida degli amici. Che non è la scuola pubblica e funzionante una scelta più giusta del calore umano. Che non è la vita senza traffico una scelta più valida del clima di Roma, della passeggiata in centro, delle mille possibilità culturali.
La vita è una e ognuno di noi dovrebbe avere il diritto di viverla nel modo che ritiene più giusto, con lo spirito che lo fa sentire meglio. Ogni giorno. In ogni piccola cosa. Con ogni persona.
perchè poi alla fine la società è fatta di persone. E faccio fatica a spiegare alcune cose a mio figlio, di questa sconcertante indolenza che regna in questo paese spesso e che ci porta sull'orlo della distruzione. Ma credo che oggi per lui contino di più altre cose. Credo che oggi lui si guardi intorno e respiri l'aria e il calore di chi ha intorno. Credo che anche per me sia così. Quando torno a casa dopo un viaggio e penso che Roma mia, quanto sei bella. Quando faccio due passi e mi perdo per le strade del centro, con il sole tiepido del pomeriggio romano. E tanti tanti altri motivi.
E non metto la testa sotto la sabbia. Combatto. Forse con l'illusione che avevo a 17 anni, quando picchettavo i cancelli di scuola perchè protestavo. Forse perchè sono una sognatrice. forse perchè amo le sfide e se non è difficile non mi piace.
Forse perchè io la torta la voglio tutta. E voglio fare questo lavoro, e gioire dei miei risultati in un seminterrato del policlinico di Roma. E voglio mettermi i sandali ad aprile. E voglio perdermi per Trastevere. E il giorno dopo andare al mare. E voglio andare a vedere la pietà di Michelangelo quando mi pare. E scegliere un teatro o un cinema tra millemila. E vedere i miei figli che ridono con i loro nonni e la loro complicità. E fare i complimeti ad una maestra ceh ci mette l'anima e che sta crescendo mio figlio con me, nel miglior modo possibile. Perchè voglio pensare che io posso crescere i miei figli ad essere migliori, ed esserlo io.
Perchè resto qui, ma resto non per essere parte di quella massa informe che fa così ribrezzo a tutti, ma per combatterla.
perchè resto qui perchè qui sono scomoda, ed è di persone scomode che questo paese ha bisogno.
Non me ne voglia chiunque abbia fatto una scelta diversa, semplicemente, a ciascuno la sua, con i leciti dubbi e momenti di sconforto, che a fare muro contro muro ci si perde soltanto.
Cheers


e questa ci sta tutta :)



9 aprile 2013

and just forget the world

Due mesi senza una parola nel mio spazio salvo, questo.
Due mesi. 60 giorni. Densi. Vuoti. Di pioggia, e freddo, e ombra. Di pensieri di catrame. Di goffi tentativi di leggerezza. Di nuvole. Di silenzi cercati,  e di parole non volute. Di isole e derive. Di assenze. Di presenze rare, scomode, inutili. Di confronti non voluti. Di opinioni non richieste. Di scavare e nascondersi. Di quel violento riproporsi di quello che non volevi, che non l'hai chiesto e che vaffanculo.
Di strada, sempre. Scura. Nascosta. Buia. Tortuosa. Isolata. Umida. Che ti si appiccica ai vestiti. Che non si capisce più dove, e come, nè verso cosa.
Che non lo sai cosa c'è, dopo. Che l'apparenza inganna. Che zitti tutti, io scendo.



forse dovrei fare yoga

4 febbraio 2013

Cicli

Ci sono stati momenti in cui ho creduto di avere tutto. Di essere a posto. Poi ho smontato ogni pezzetto perché mi sono accorta che era tutto finto, e non così adatto a me. Ho ricostruito. Con fatica, perché le cose fatte con fatica poi ti danno più soddisfazione, dicono. Poi ce ne sono altre in cui sembra che il ritorno non arriva mai. Fatichi e basta. Pensavi di essere su una strada, e questo ti faceva sentire nel posto giusto. Prima o poi saresti arrivata. Ma poi la strada te l'hanno cancellata sotto al naso.
E ora.
Persa.
Un nuovo ciclo. In cui il grigio sembra più buio. Che la luce non sempre basta. Che non sei nel posto giusto perché davanti non c'è nulla. Che non sai cosa puoi realmente fare. Che chissà se tanta fatica avrà mai un senso.
Che in fondo vorresti solo stare li, ferma.
E aspettare un altro ciclo. Quello in cui al tuo posto ti ci fanno stare.

ShareThis